Ci sono pezzi di società in cui il volontariato, con tutte le sue complessità, resta un modo per svuotare di senso il dominio del profitto. In carcere il volontariato è anche un ponte con il mondo esterno, uno strumento per sbarazzarsi di molti pregiudizi e un grimaldello con cui rifiutare l’idea di giustizia come vendetta. Per questo c’è chi non vuole i volontari nelle galere

Articolo 17 dell’Ordinamento Penitenziario
“Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa. Le finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all’azione rieducativa”.
Con la riforma del 1975, l’apertura al volontariato nel sistema penitenziario è stata una vera rivoluzione culturale carceraria, che ha dato importanza alla comunità libera nel recupero del detenuto. È stato come se il legislatore avesse ammesso che il prigioniero può migliorare solo dentro la società e non certo escludendolo totalmente da essa.
Credo che le migliaia di persone che ogni giorno entrano in carcere e dedicano la loro energia e il loro tempo ai prigionieri siano la parte più sana della nostra società e, di conseguenza, delle nostre “Patrie Galere”. Ed è grazie a loro che la maggioranza della popolazione detenuta riesce ad avere ancora un contatto con l’ambiente esterno e a sentirsi meno emarginata. Probabilmente per questo il “nemico numero uno” per l’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) non è il detenuto, ma il volontario che entra a casa sua, lavora gratuitamente, vede, ascolta e poi va fuori.
di Carmelo Masumeci
