
FILI DA RIANNODARE, dal carcere a nuovi spazi di libertà

Volontariato Carcere Brescia
Con il progetto “Fili da riannodare”, l’associazione “Fiducia e libertà” intende dar voce a testimonianze di detenuti, detenute e operatori focalizzandosi sul delicato passaggio dal carcere al reinserimento. Sono cinque gli appuntamenti in programma, sempre alle 18.30, nel teatro di Sant’Afra, in vicolo delle Ortaglie 6.
L’inaugurazione della rassegna è prevista il 14 maggio con “La scrittura come emancipazione e testimonianza”. Testimonianze e letture di Rodouanne Bouadili, Ernesto Settesoldi, Amanuel Tesfaj, David Turcato a cura di Abderrahim El Hadiri. Interverrà Pino Rovedo, scrittore e giornalista, vincitore nel 2005 del Premio Campiello, da detenuto a Garante dei detenuti del Friuli Venezia Giulia. Alle 17 verrà inaugurata l’esposizione delle opere “Tra menti e mani”. Il 28 maggio è in calendario “Un’idea più grande di me”, con Armando Punzo, drammaturgo, regista e direttore artistico del Teatro di San Pietro, Volterra, oltre che fondatore della Compagnia della Fortezza. L’11 giugno è la volta de “L’arte, un ponte tra dentro e fuori”, con Giulia Gussago, direttore artistico della Compagnia Lyria e Progetto Verziano, Dania Zanotto, artista, e Marco Dotti, agente di rete della Cooperativa di Bessimo. Il 25 giugno l’appuntamento è con “Caine, voci oltre le sbarre”. Letture di Cati Cristini. Nell’occasione verrà presentato il documentario “Caine”, che ha per protagoniste le detenute di Pozzuoli. La rassegna si chiude il 2 luglio con la tavola rotonda che vedrà la partecipazione, fra gli altri, di Roberto Cammarata, presidente del Consiglio comunale di Brescia, Gabriella Feraboli, responsabile sviluppo e ricerca della Cooperativa di Bessimo, Monica Lazzaroni, presidente del Tribunale di sorveglianza di Brescia, Francesca Paola Lucrezi, Direttore c.c. Nerio Fischione e c.r. Verziano, e Luigi Pagano, vice capo amministrazione Penitenziaria della Lombardia.
EVENTO PRIMO DI CINQUE
“LA SCRITTURA COME EMANCIPAZIONE E TESTIMONIANZA”
testimonianze e letture di Redouane Bouadili, Ernesto Settesoldi, David Turcato, Amanuel Tesfaj
accompagnamento musicale di: Marcello Sola
L’esperienza della detenzione crea una lacerazione nell’esistenza. Sancisce un prima e dopo, si impone come evento apicale costellato da nuovi significati e interrogativi nella vita di una persona. E’ ancora il carcere un luogo di rieducazione?
Quale può essere il ruolo della comunità civile nel favorire percorsi di reinserimento sociale?
Con il progetto “FILI DA RIANNODARE” vorremmo dar voce alle testimonianze di detenute e detenuti e di operatori che da anni intervengono in carcere focalizzandoci in particolare sul delicato passaggio dal termine della carcerazione al ritorno nella società civile per riannodare i fili della propria vita.
E’ altresì importante riflettere su quei processi riparativi attivabili all’interno del carcere, così come il significato e il ruolo dell’esperienza artistica in tutte le sua forme quale ponte tra dentro e fuori.
Regia a cura di:
ABDERRAHIM EL HADIRI
OSPITE DELLA SERATA
PINO ROVEREDO
Dalle ore 17:00
“TRA MENTE E MANI” disegni e dipinti di ex detenuti e non
TEATRO SANT’AFRA, VICOLO DELLE ORTAGLIE N.6, BRESCIA
si prega di dare la propria prenotazione ai seguenti recapiti: tel. 030.8373723 – mobile: 335.6544512 – mail. assfiduciaeliberta@libero.it
Ogni anno, nel mese di maggio, il Ministero dell’Economia comunica i dati aventi ad oggetto le entità delle riparazioni per ingiusta detenzione. Anche quest’anno siamo in attesa della pubblicazione, ma già sappiamo che i numeri saranno in aumento.
Questa amara realtà farà discutere e ci saranno i soliti articoli di denuncia, ma nulla cambia in concreto per modificare il pericoloso trend, delle persone innocenti incarcerate ingiustamente.
Il motivo è molto semplice: la magistratura continua nell’uso sconsiderato della custodia carceraria e degli arresti domiciliari nonostante i molteplici interventi legislativi tesi a: “riallineare il sistema italiano agli standard previsti dalla Costituzione e a quelli previsti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali … E’ necessario superare quelle forme surrettizie di presunzione giurisprudenziale che di fatto enucleano la sussistenza di esigenze cautelari dalla sola gravità del reato commesso e puntare su una valutazione rigorosa, che sappia valorizzare il principio della tendenziale prevalenza della libertà sulla restrizione” parole dell’on. Donatella Ferranti prima firmataria della proposta di legge da cui è derivata la Legge 47/2015.
Sono trascorsi 6 anni e dobbiamo constatare che queste parole sono rimaste inascoltate. Secondo i dati comunicati dal Ministero della Giustizia al Parlamento, ai sensi dell’articolo 15 Legge 47/2015, nel 2019 circa il 10% dei procedimenti “cautelati” (è un brutto neologismo coniato dagli autori della relazione per indicare i procedimenti iniziati nel 2019 dove inizialmente sono applicate misure cautelari) si conclude con un esito (assoluzione) che sconfessa, sia pure a posteriori, la necessità della misura. (1).
Quindi possiamo affermare che ogni anno il sistema giustizia genera in automatico “innocenti in carcere”; ogni dieci misure cautelari applicate abbiamo un innocente in carcere.
Nell’esaminare gli ultimi dati disponibili (al 31 dicembre 2019) si registrano 1000 casi di ingiusta detenzione (2). Sono 1000 le persone che hanno ricevuto un indennizzo per essere state da innocenti in carcere. Ebbene questo numero è sottostimato, sono molte di più le persone ingiustamente incarcerate.
Questa affermazione si basa sulle seguenti considerazioni: il numero indicato nei dati ufficiali non tiene conto degli “innocenti invisibili” che sono quelle persone che pur avendo subito una carcerazione ingiusta, non presentano la domanda di ingiusta detenzione.
Sono molte le persone che preferiscono computare la pena ingiustamente sofferta con un pari periodo da scontare. L’articolo 657 del codice procedura penale (Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo), in parole semplici rappresenta la possibilità di richiedere una “compensazione” tra un periodo di carcere sofferto ingiustamente e un periodo da scontare per altra condanna definitiva.
Sono migliaia ogni anno le domande di computo pena presentate negli uffici delle Procure della Repubblica della Penisola e sono tutte “ingiuste detenzioni” potenziali che non verranno mai presentate.
Altra schiera di “innocenti invisibili” sono le persone che rinunciano a presentare la domanda perché letteralmente “scioccate” dal sistema giustizia italiano, il loro numero non è calcolabile ma ogni avvocato penalista con anni di professione può indicare decine di casi di innocenti che non vogliono avere più nulla a che fare con i nostri tribunali.
Vogliamo ora soffermarci su chi rinuncia a presentare la domanda per un mero calcolo aritmetico. La maggior parte delle persone che hanno sofferto un breve periodo di carcerazione si trovano di fronte al dilemma se economicamente vale la pena presentare la domanda di ingiusta detenzione.
Mi spiego: è in uso nelle nostre Corti di Appello, demandate a decidere sulle domande di indennizzo, di utilizzare il sistema aritmetico per quantificare il ristoro. Con la Legge Carotti del 16.12.1999 n. 479 si è stabilito il limite massimo di riparazione ad euro 516.456.90.
La somma prevista per legge è stata quantificata con un calcolo aritmetico basato sul termine massimo di custodia cautelare indicato in 6 anni (articolo 303 comma 4 lett. C codice procedura penale). Se dividiamo l’importo massimo 516.456,90 per i relativi giorni 2190 di termine massimo di custodia cautelare abbiamo la somma di 235,82 per ogni giorno di carcere ed euro 117,50 per ogni giorno di arresti domiciliari. Non mi soffermo sul fatto che l’articolo 304 codice procedura penale consente la sospensione dei termini indicati dall’articolo 303 con i limiti previsti dal comma 6. Ciò per dire che in realtà il termine massimo di custodia cautelare non sempre è di 6 anni.
Ebbene, se per 20 giorni di carcere posso prevedere di essere indennizzato con circa 4.700 euro e devo considerare che solo il 30% delle domande viene accolta (dato ricavato dal circondario della Corte di appello di Milano) e che devo sostenere anche le spese dell’avvocato per una semplice legge economica molti innocenti sono dissuasi a presentare la domanda di indennizzo.
L’altro aspetto che scoraggia gli innocenti a presentare la domanda è il fatto che gli indennizzi sono relativamente bassi e non vengono aggiornati dal 1999.
I costi della procedura e l’esiguità della riparazione prevedibile per detenzioni brevi hanno verosimilmente un’efficacia dissuasiva elevata.
Ma, altrettanto verosimilmente, potrebbe incidere la ferrea volontà di non rinnovare, pur partendo da una posizione di vantaggio, l’orrore dell’esperienza giudiziaria vissuta e di non correre anche solo alla lontana il rischio di essere nuovamente sottoposti a sgradevoli ribalte mediatiche.
Per questi vincoli esterni o interni, migliaia di persone non entreranno mai nelle statistiche ufficiali, rimarranno invisibili e si trasformeranno nei desaparecidos della giustizia ingiusta.
Da questo breve affresco si ricava che i numeri di 1000 innocenti all’anno sono in realtà sottostimati perché non considerano gli “innocenti invisibili o desaparecidos della giustizia ingiusta”.
Si chiude con un richiamo al pensiero di Albert Camus, tratto da La caduta:
“Visto che non si potevano condannare gli altri senza giudicare immediatamente se stessi, bisognava incolpare sé stessi per aver diritto di giudicare gli altri. Visto che ogni giudice prima o poi finisce penitente, bisognava far la strada in senso inverso, esercitare il mestiere di penitente per poter finire giudice”.
[1] La relazione ministeriale di cui si parla in questo paragrafo è consultabile a questo link.
[2] Si rinvia, per una sintesi dei dati del 2019 e di quelli storici (dal 1991 in avanti), a Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, “Errori giudiziari e ingiusta detenzione: i numeri aggiornati”, 30 giugno 2020, sul sito web di errorigiudiziari.com, consultabile a questo link.
Quando il carcere è solo vendetta. Leggendo “Vendetta pubblica” di Marcello Bortolato ed Edoardo Vigna“
Le paure e i rancori facilmente portano a intendere le pene in modo vendicativo, quando non crudele, invece di considerarle come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale.Oggi, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge
cit. Papa Francesco
Per la maggior parte dei capitoli il punto di partenza è uno dei tanti luoghi comuni sul carcere. Quelle affermazioni che tutti noi abbiamo sentito almeno una volta: “si sta meglio dentro che fuori”, “hanno la tv e il silenzio, che vuoi di più?”, “bisognerebbe buttare la chiave”, “pure i premi dobbiamo dargli, io ai lavori forzati li metterei” … un florilegio di giudizi preconfezionati che, in tanto è importante prendere in considerazione, in quanto non si può fare l’errore di trattarli con superficialità, se ci si prefigge l’obbiettivo di scardinarne almeno qualcuno. Il primo passo, allora, diventa rendersi conto che ciascuno di noi, forse, potrebbe finire per pensare la stessa cosa, se non gli si fornissero dati e chiavi di lettura appropriate per iniziare a cambiare idea.
Otto capitoli, una introduzione e le conclusioni, per complessive 148 pagine, che bastano agli autori ad affrontare, con una rassegna ragionata, un viaggio dentro il carcere ben al di là di certe facili e disinformate rappresentazioni cinematografiche, e che conta invece sull’occhio esperto di un magistrato di sorveglianza che, per anni, le ha visitate nell’esercizio dei propri compiti, e di un giornalista interessato, doverosamente, alla lettura dei dati e al confronto con i fatti, al di là degli slogan che troppo spesso colorano anche questi campi di discussione.
Progetto Genitorialità in carcere, un idea dell’Associazione Fi.Li.
Non è una decisione popolare quella di includere i detenuti tra le categorie prioritarie rispetto alla vaccinazione anti Covid-19. Il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, che nei giorni scorsi ha annunciato che subito dopo coloro che hanno più di 80 anni sarà il turno di chi in carcere è recluso e di chi vi lavora, non ha certo puntato su un’affermazione volta a raccoglierei consensi.
È tuttavia una scelta di ragionevolezza e buon senso, oltre che una risposta con una precisa valenza etica. Una scelta sollecitata da più parti nelle scorse settimane, primi tra tutti dalla senatrice Liliana Segre e dal Garante Nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma. Nel Lazio, il Consiglio Regionale si è espresso favorevolmente, grazie al lavoro del Garante regionale Stefano Anastasia.